Dal capitalismo industriale al capitalismo culturale
L’innovazione tecnologica ha garantito le condizioni strutturali per una nuova inter-dipendenza, ma non quelle sufficienti alla effettiva condivisione del sapere, che ancora una volta, torna a dipendere dall’uomo e non dalla tecnologia.
Alla iper-connessione tecnologica non corrisponde una forma evoluta di comunicazione, intesa come processo inclusivo, paritetico e reciproco di condivisione della conoscenza.
Una innovazione tecnologica senza cultura implica il rischio di un declino del sistema socio-economico. I freni alla innovazione inclusiva, rafforzano le disuguaglianze culturali, contribuendo ad evidenziare le nette stratificazioni sociali tuttora presenti.
Occorre intervenire sulle istituzioni della formazione, luoghi in cui si realizzano le condizioni strutturali della minorità culturale. Occorre colmare il ritardo in quanto non bastano i cittadini connessi, servono cittadini informati ed educati alla cittadinanza e non alla sudditanza.
Il sistema Universitario, appare come un “sistema chiuso” finalizzato alla auto conservazione di un “sapere”-potere che non dialoga con il territorio, le imprese, le comunità cristallizzando i processi di creazione del valore.
La cultura è il motore della crescita e di un progresso inclusivo. Le sfide della complessità impongono un ripensamento sistemico delle modalità con cui si strutturano ed evolvono i saperi e le competenze.
La società della conoscenza superando il “Capitalismo industriale” si fonda su un nuovo “Capitalismo culturale” che coinvolge direttamente la scienza e l’innovazione tecnologica, non più appannaggio di Comunità Scientifiche chiuse, bensì fondato su un irreversibile salto di qualità nella capacità di fare rete.